Il SEGRETO eucaristico del grande vescovo Fulton John Sheen

L’arcivescovo statunitense era animato da un amore sconfinato per l’Eucarestia, rendendolo l’uomo di profonda fede che è stato. L’amore immenso per l’Eucarestia, all’Adorazione quotidiana della Quale non avrebbe mai rinunciato per nessuna ragione al mondo, è legato ad un episodio che forse molti ignorano ma che merita veramente di essere conosciuto.

Si tratta della storia di una bambina, la piccola Jia Li, vissuta negli anni ’50 in Cina, durante la più dura epoca di repressione comunista. Bambina di 11 anni, Li frequentava una scuola parrocchiale. In occasione della preparazione alla sua Prima Comunione trovò molto strana della preghiera del Padre nostro la frase: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Così riferì alla suora, sua catechista, che non capiva come mai Dio aveva detto di chiedere il pane, a quelli come lei che invece mangiano riso. La suora le dette una risposta molto semplice, che la bambina prese così sul serio da condurla al martirio.

Le disse: "Tu mangi riso al mattino, a mezzogiorno e alla sera perché il tuo corpo ha bisogno del riso. Ma la tua anima, che vale più del corpo, ha fame di questo pane che è il Pane di Vita: si chiama Ostia! Ricorda di non prendere più di un’Ostia al giorno e di non toccarla mai con le mani. L’Ostia si riceve in ginocchio e sulla lingua".

Così dal mese di maggio, quando la piccola Li fece la Prima Comunione, implorando Gesù di farle avere sempre questo pane quotidiano e di non permettere che la sua anima ne restasse mai priva, cominciò a fare la comunione tutti i giorni. Una volta i comunisti invasero una chiesa, imprigionando nella sua stanza il parroco, Padre Luc. Dalla finestra che dava sulla chiesa, il sacerdote poté osservare la scena in cui i miliziani profanando il Tabernacolo, presero il Calice gettandolo a terra, spargendo ovunque le Ostie consacrate. Poi riferì quanto segue.

La piccola Li che era presente in chiesa, nascosta in un cantuccio, vista la scena restò di ghiaccio. Con l’intenzione pietosa di raccogliere Gesù dal pavimento, non sapendo della presenza della guardia nella rettoria e credendosi sola, a piccoli passi si avvicina all’altare. Si prostra a terra e inginocchiata adora silenziosamente Gesù maltrattato e abbandonato. Come le ha insegnato la suora, sa che occorre preparare il proprio cuore prima di ricevere Gesù. Dopo un’ora di Adorazione, carponi, abbassa la testa a terra e raccoglie un’Ostia con la lingua. Resta ancora in ginocchio, ad occhi chiusi in comunione col suo Visitatore celeste, poi, mentre il sacerdote trepidava per tutto il tempo temendo per lei, la bambina così come era arrivata, lentamente, quasi saltellando se ne va.

Il giorno dopo si ripete la stessa scena. La piccola Li ritorna. Prostata a terra raccoglie con la lingua un’altra Ostia e dopo l’Adorazione se ne va. Padre Luc che conosceva il numero delle Ostie – erano 32 – si domanda tra sé e sé, perché non le raccolga tutte insieme nella stessa volta evitando di correre troppi rischi, ma l’insegnamento della suora la piccola Li se lo ricordava benissimo: “Una sola Ostia al giorno è sufficiente! “E così fece.

Il 32° giorno rimaneva a terra ancora un’Ostia. All’alba la bambina si infila in chiesa e come al solito, silenziosamente, raggiunge i piedi dell’altare. Si inginocchia e prega vicino all’ultima Ostia profanata, quando per un rumore involontario, avvistata dalla guardia della rettoria, viene puntata dalla rivoltella che sparato il colpo, accompagnato da una grassa risata, vede la bambina accasciarsi al suolo. Padre Luc la crede morta, invece non lo è ancora. Ha il tempo che le serve per strisciare faticosamente a terra verso quell’ultima Ostia che, come le altre, raccolse premendoLe sopra la bocca. Poi un soprassalto convulso e l’improvviso mortale rilassamento. La piccola Li è morta. È morta dopo aver salvato tutte le Ostie mettendole al riparo dentro di sé.

Quando Mons. Sheen ascoltò questo racconto, fu talmente colpito dall’eroismo zelante di questa bambina verso l’Eucaristia, che decise che da quel momento in poi, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe sostato per il resto della sua vita in adorazione davanti a Gesù Sacramentato, almeno un’ora al giorno. Se quella bambina aveva dato con la propria vita una tale testimonianza della reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento, Mons. Sheen si vedeva obbligato a fare lo stesso.

Solo due mesi prima di morire, all’età di ottantaquattro anni, Mons. Sheen rivelò al grande pubblico il suo segreto, la volta che l’intervistatore gli chiese: “Sua Eccellenza, lei ha ispirato milioni di persone in tutto il mondo, ma lei da chi è stato ispirato? Da un Papa?”. Mons. Sheen rispose che la sua più grande fonte di ispirazione non era stato un Papa, né un cardinale, nessun altro vescovo, nemmeno un sacerdote, né una suora ma una bambina cinese di 11 anni. E aggiunse:

“Il segreto del mio potere è che in 55 anni non mi sono mai perso di passare un’ora al giorno di Adorazione alla Presenza di Gesù Nostro Signore nel Santissimo Sacramento. Ecco da dove viene il potere. Ecco dove nascono i sermoni. È da lì che viene concepito ogni buon pensiero”.

L’impegno di Sheen nel mantenere un’ora Santa di Adorazione Eucaristica, precisamente, iniziò il giorno della sua ordinazione il 20 settembre 1919 e durò fino al giorno della sua morte, il 9 dicembre 1979. Esattamente 60 anni! Morì durante l’Adorazione Eucaristica, davanti a Gesù nel Santissimo Sacramento. Era chiaramente devoto alla pratica, ma non la considerava come una devozione ma come “Una partecipazione all’opera di Redenzione”. Non solo Mons. Sheen tenne fede alla promessa per tutta la sua vita ma non perse mai occasione per promuovere l’amore per Gesù Eucaristico. Per molti decenni, infatti, ha esortato i fratelli sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli a fare un’ora santa quotidiana di Adorazione davanti al Santissimo Sacramento.

* * *

IL POTERE DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA

«Siate certi che di tutti gli istanti della vostra vita, il tempo che passerete davanti al Divin Sacramento sarà quello che vi darà più forza durante la vita, più consolazione nell’ora della morte e durante l’eternità»


(Sant’Alfonso de’ Liguori).

«Volete che il Signore vi faccia molte grazie? Visitatelo sovente. Volete che ve ne faccia poche? Visitatelo di rado. Volete che il demonio vi assalti? Visitate di rado Gesù Sacramentato. Volete che fugga da voi? Visitate sovente Gesù. Volete vincere il demonio? Rifugiatevi sovente ai piedi di Gesù. Volete essere vinti? Lasciate di visitare Gesù. Miei cari, la Visita al Sacramento è un mezzo troppo necessario per vincere il demonio. Dunque, andate spesso a visitare Gesù e il demonio non la vincerà contro di voi».

(San Giovanni Bosco).

Con la Presenza Reale, Gesù è nei nostri tabernacoli. Lo stesso Gesù portato dall’Immacolata nel suo grembo verginale sta rinchiuso nel piccolo grembo di una candida ostia. Lo stesso Gesù che fu flagellato, coronato di spine e crocifisso come vittima per i peccati del mondo sta nel ciborio come Ostia immolata per la nostra salvezza. Lo stesso Gesù che risuscitò da morte e ascese al cielo, dove ora regna glorioso alla destra del Padre, sta sui nostri altari circondato da una moltitudine quasi infinita di Angeli adoranti (...).

Andiamo da Gesù, presente REALMENTE nell'Ostia! Tratteniamoci con Lui, parlandogli con affetto di ciò che ci sta a cuore. Egli ci avvolge con il suo sguardo d’amore e ci attira al suo Cuore. «Quando noi parliamo a Gesù con semplicità e con tutto il cuore - diceva il Santo Curato d’Ars - Egli fa come una mamma che tiene la testa del suo bambino fra le sue mani, per coprirlo di baci e di carezze (...).

SOLO IN PARADISO VEDREMO QUANTE ANIME SONO STATE STRAPPATE ALL’INFERNO DALL’ADORAZIONE EUCARISTICA RIPARATRICE DEI SANTI CONOSCIUTI E SCONOSCIUTI (…).
Per questo San Massimiliano M. Kolbe, il grande apostolo mariano, in ogni sua fondazione, prima ancora delle celle per i frati, voleva che si costruisse la Cappella per introdurre subito l’adorazione perpetua al Santissimo esposto. E un giorno, in Polonia, mentre accompagnava un ospite in visita alla «Città dell’Immacolata», arrivato nella grande Cappella dell’adorazione, disse all’ospite indicando con la mano il Santissimo Sacramento: «Tutta la nostra vita dipende da qui»

(Padre Stefano Manelli)

«Gesù è lì, nell’Ostia. Come possiamo annoiarci? Come osiamo annoiarci? Quando adorate il Santissimo, venite per Lui. Venite solo per fare piacere a Lui. Venite per Lui e, allora, Lui farà tutto per voi (...).

«Il sole, ogni giorno, sembra lo stesso ma voi non dite: “Non andrò a godermi il sole oggi perché è lo stesso sole di ieri”. Il sole può essere lo stesso ma i raggi si rinnovano costantemente: il calore che hai ricevuto oggi è un calore nuovo, la luce è nuova, non viene da un raggio vecchio che hai ricevuto ieri e che è riciclato. È un raggio nuovo che dà nuovo calore, nuova luce. Con Gesù nell’Eucarestia è la stessa realtà: puoi vedere la stessa Ostia, lo stesso “pezzetto rotondo” di pane bianco ma è completamente diverso rispetto a ieri. Raggi nuovi, calore nuovo, nuove grazie, nuova ispirazione, nuova relazione. Tutto è nuovo (...).

«DIVENTATE UN OSTENSORIO VIVENTE per Gesù. Quando avete adorato il Santissimo e Gesù vi ha trasformato, siete raggianti e quei raggi arrivano dappertutto: giungono ai non credenti, ai malati, ai moribondi. Chissà, forse impedirete un divorzio, impedirete a un giovane di suicidarsi, forse guarirete un malato, forse consolerete un moribondo, forse impedirete un incidente stradale. Chissà, Dio lo sa...».

(Suor Emmanuel Maillard)

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Gesù parla dei suoi nonni

 

Dice Gesù:
   «I giusti sono sempre dei sapienti perché, essendo amici di Dio, vivono in sua compagnia e sono da Lui istruiti; da Lui, Infinita Sapienza.
   I miei nonni erano giusti e possedevano perciò la sapienza. Potevano dire con verità quanto dice il Libro, cantando le lodi della Sapienza nel libro[8] di essa: “Io l’ho amata e ricercata fin dalla giovinezza e procurai di prenderla in sposa”.
   Anna d’Aronne era la donna forte di cui parla l’Avo nostro. E Gioacchino, stirpe di re Davide, non aveva cercato tanto avvenenza e ricchezza quanto virtù. Anna possedeva una grande virtù. Tutte le virtù unite come mazzo fragrante di fiori per divenire un’unica bellissima cosa, che era la Virtù. Una virtù reale, degna di stare davanti al trono di Dio.
   Gioacchino aveva dunque sposato due volte la sapienza “amandola più d’ogni altra donna”: la sapienza di Dio chiusa nel cuore della donna giusta. Anna d’Aronne altro non aveva cercato che di unire la sua vita a quella di un uomo retto, certa che nella rettezza è la gioia delle famiglie.

 

 

   3.6E ad esser l’emblema della “donna forte” non le mancava che la corona dei figli, gloria della donna sposata, giustificazione del coniugio, di cui parla Salomone, come alla sua felicità non mancavano che questi figli, fiori dell’albero che ha fatto un sol uno con l’albero vicino e ne ottiene dovizia di nuovi frutti, in cui le due bontà si fondono in una, perché, per conto dello sposo, mai nessuna delusione le era venuta.

 

 

   3.7Ella, ormai volgente a vecchiezza, moglie da più e più lustri a Gioacchino, era sempre per lui “la sposa della sua giovinezza, la sua gioia, la cerva carissima, la graziosa gazzella”, le cui carezze avevano sempre il fresco incanto della prima sera nuziale e affascinavano dolcemente il suo amore, tenendolo fresco come fiore che una rugiada irrora e ardente come fuoco che sempre una mano alimenta. Perciò, nella loro afflizione di senza figli, l’un l’altro si dicevano “parole di consolazione nei pensieri e negli affanni”.

 

 

   3.8E su loro la Sapienza eterna, quando fu l’ora, dopo averli istruiti nella vita, li illuminò con i sogni della notte, diana del poema di gloria che doveva da essi venire e che era Maria Ss., la Madre mia. Se la loro umiltà non pensò a questo, il loro cuore però trepidò nella speranza al primo squillo della promessa di Dio. Già è certezza nelle parole di Gioacchino: “Spera, spera… Vinceremo Dio col nostro fedele amore”. Sognavano un figlio: ebbero la Madre di Dio.

 

 

   3.9Le parole del libro della Sapienza paiono scritte per loro:
“Per lei acquisterò gloria davanti al popolo… per essa otterrò l’immortalità e lascerò eterna memoria di me a quelli che dopo me verranno”. Ma, per ottenere tutto questo, dovettero farsi re di una virtù verace e duratura che nessun evento lese. Virtù di fede. Virtù di carità. Virtù di speranza. Virtù di castità. La castità degli sposi! Essi l’ebbero, ché non occorre esser vergini per esser casti. E i talami casti hanno a loro custodi gli angeli e ad essi scendono figli buoni, che della virtù dei genitori fanno la norma della loro vita.

 

 

   3.10Ma ora dove sono? Ora non si vogliono figli, ma non si vuole però neppure castità. Onde Io dico che l’amore e il talamo sono profanati».

 

(Volume 1 - Capitolo 3, l'Evangelo di Maria Valtorta)

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INSEGNAMENTI DELLA SANTISSIMA VERGINE SULLA FIDUCIA

Dice Maria (parlando a San Giuseppe): «Non temere. Tutto andrà bene (…). Noi fidiamo in Lui. Non è vero? Sempre fidiamo in Lui. Quanto più è forte la prova e più fidiamo. Come due bambini mettiamo la nostra mano nella sua di Padre. Egli ci guida. Siamo tutt’affatto abbandonati a Lui. Guarda come ci ha condotti fin qui con amore. Un padre, anche il più buono, non potrebbe farlo con maggior cura. Siamo suoi figli e suoi servi. Compiamo la sua volontà. Nulla di male può accaderci».

 

Dice Maria (parlando alla mistica): «La fiducia in Dio riassume le virtù teologali. Chi ha fiducia è segno che ha fede. Chi ha fiducia è segno che spera. Chi ha fiducia è segno che ama. Quando uno ama, spera, crede in una persona, ha fiducia. Altrimenti no. Dio merita questa nostra fiducia. Se la diamo a dei poveri uomini capaci di mancare, perché la si deve negare a Dio che non manca mai? La fiducia è anche umiltà. Il superbo dice: “Faccio da me. Non mi fido di costui perché è un incapace, un mentitore, un prepotente”. L’umile dice: “Mi fido. Perché non mi dovrei fidare? Perché devo pensare che io sono meglio di lui?”. E con più ragione così dice di Dio: “Perché devo diffidare di Colui che è buono? Perché devo pensare che io sono capace di fare da me?”. Dio all’umile si dona. Ma si ritira a chi è superbo».

 

(L'Evangelo di Maria Valtorta) 

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La Santa Casa di Loreto, la scienza avvalora la traslazione miracolosa

 

Nel 1291 la prima delle cinque traslazioni che portarono la Santa Casa da Nazaret a Loreto, dove giunse nel 1296, posta dagli angeli su una strada pubblica. Le misure delle tre sacre pareti in Italia combaciano con le fondamenta a Nazaret. Le analisi scientifiche sul terreno, le pietre, la malta, l’orientamento della casa, nonché molteplici testimonianze e dati storici, convergono nel supportare la traslazione miracolosa. Eppure oggi si preferisce credere ad altro.

 

Nell’arco degli ultimi 100 anni, gli scettici e negazionisti sono aumentati, e oggi la Traslazione per ministero angelico è perlopiù ridotta a pia leggenda, dimenticata o lasciata sullo sfondo, appunto anche in ambito ecclesiale, che pure potrebbe trarre grande giovamento dal rivalorizzare - dalla liturgia alla catechesi - uno dei più grandi miracoli che Dio ci ha donato, stante anche il fatto che esiste una mole considerevole di documentazione storica, archeologica e scientifica che si sposa con il dato di fede.

 

CINQUE TRASLAZIONI

La storia di questo miracolo permanente inizia nel 1291, anno che segna la caduta dell’ultima roccaforte cristiana in Terra Santa, San Giovanni d’Acri, con la cacciata dei crociati. Proprio qualche giorno prima della loro definitiva sconfitta, ad opera dei musulmani, la Santa Casa di Nazaret fu staccata dalle sue fondamenta e portata in volo dagli angeli a Tersatto, oggi un quartiere della città di Fiume, in Croazia: ciò avvenne, all’improvviso, la notte tra il 9 e il 10 maggio 1291. La sacra dimora dove era nata la Santissima Vergine e che era stata il luogo dell’Annunciazione e dell’Incarnazione di Nostro Signore, dove il Bambin Gesù era cresciuto sotto le cure di Maria e Giuseppe, veniva così provvidenzialmente messa al sicuro dalla minaccia di distruzione per mano turca.

I primi ad accorgersi di quella misteriosa abitazione a Tersatto furono dei boscaioli. La voce arrivò a un parroco del luogo, don Alessandro Giorgiewich, a cui apparve la Madonna guarendolo dall’idropisia e rivelandogli che le tre pareti erano proprio la sua dimora di Nazaret. Lo stesso sacerdote partì, insieme a una delegazione tersattana voluta dal viceré Nicola Frangipani, alla volta della Terra Santa, dove poté verificare che a Nazaret le tre sacre pareti - al di sopra delle quali era stata costruita la Basilica dell’Annunciazione - non c’erano più.

A Tersatto la Santa Casa rimase tre anni e sette mesi, venendo portata via, ancora dagli angeli, la notte tra il 9 e il 10 dicembre 1294 (da qui la data della festa odierna), quando la dimora della Sacra Famiglia toccò per la prima volta il suolo italiano, in particolare quello dell’allora Stato Pontificio, venendo lasciata nei pressi di Ancona, in località Posatora. Circa nove mesi dopo avvenne la terza traslazione documentata, nella selva di una signora di nome Loreta, in una località poi detta “Banderuola”, perché i fedeli avevano piazzato una bandiera in cima a un alto pino per aiutare i pellegrini a orientarsi; nella zona si diffusero i briganti e avvenne una quarta traslazione, sul Monte Prodo, su un terreno dei fratelli Rinaldi, i quali, presi dall’avidità per il ricco afflusso di pellegrini, tentarono di ottenere la proprietà della Santa Casa, che alla fine, nel 1296, fu miracolosamente traslata, per l’ultima volta, dove si trova oggi: gli angeli la posero sulla pubblica strada che da Recanati va al suo porto, costringendo i magistrati a ordinare una deviazione del percorso.

I fatti erano insomma noti a tutti e la toponomastica, la presenza di iscrizioni, la costruzione di chiese, ecc., nei luoghi dove la Santa Casa era stata posta, stanno lì a testimoniarlo. Sia in Italia che a Tersatto, dove, tra le molteplici testimonianze, ci limitiamo a menzionare il santuario costruito nel XIII-XIV secolo a ricordo della permanenza della Santa Casa e della sua successiva e seconda traslazione, vissuta con dolore dai fedeli del luogo; lungo la scalinata del santuario croato si legge sul marmo: «Venne la Casa della Beata Vergine Maria da Nazaret a Tersatto, l’anno 1291, allì 10 di maggio e si partì allì 10 di dicembre 1294».

L’IPOTESI DEL TRASPORTO UMANO? UN FALSO STORICO

Le cinque traslazioni certe e improvvise, tra il 1291 e il 1296, fanno crollare come un castello di carta l’ipotesi odierna di un trasporto per mano umana, legato a una presunta famiglia “Angeli”. L’ipotesi prese piede nel XIX-XX secolo quando comparve dal nulla la copia di un supposto documento (senza originale) che parlava di “sante pietre” portate via dalla casa della Madonna e facenti parte della dote di tale Ithamar, sposatasi nel 1294 e figlia del despota dell’Epiro, Niceforo I Angeli-Comneno.

Un falso storico, prodotto da una famiglia palermitana di cognome De Angelis «per far credere che il suo casato derivasse dalla famiglia principesca “Angeli” dell’Epiro», come si legge nel recente libro Il Miracolo della Santa Casa di Loreto, di Federico Catani (Luci sull’Est, 2018), che al riguardo riferisce in sintesi le conclusioni di una pubblicazione del professor Andrea Nicolotti (del Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino), secondo cui «il carattere sostanzialmente fasullo della storia e dei documenti bizantini prodotti dalla famiglia De Angelis deve indurre a sospettare fortemente della credibilità di tutte le fonti che essi accreditano». Inoltre, in quella copia si parla di alcune “sante pietre”, mentre nelle traslazioni da Nazaret a Tersatto e infine all’Italia c’è, fondamenta a parte, l’intera Santa Casa.

GLI STUDI STORICI E SCIENTIFICI

Ma torniamo alle evidenze storiche e archeologiche cui accennavamo. Innanzitutto, la Santa Casa è costituita da sole tre pareti perché, quando ancora a Nazaret, era appoggiata a una grotta con la quale costituiva un unico blocco abitativo. Le misure della casa di Loreto e lo spessore dei suoi muri corrispondono perfettamente alle fondamenta che si trovano a Nazaret, nel luogo che per 13 secoli è stato venerato dai fedeli come casa di Maria. Non solo: anche il perimetro delle pareti giunte a Tersatto, come venne messo per iscritto con atto notarile, corrispondeva perfettamente a quello di Nazaret. Poi, le pietre della Santa Casa sono tipiche della Palestina e lavorate con una tecnica specifica di quei luoghi. A ciò va aggiunto che nelle Marche non vi erano cave di pietra e tutte le costruzioni erano fatte in laterizi.

La collocazione della porta sulla parete lunga e l’orientamento dell’intera casa, con la finestra posizionata a ovest, sono assolute anomalie per gli usi edilizi del XIII secolo in terra marchigiana. Ricordiamo che l’ultima traslazione angelica si concluse con la posa della Santa Casa nel mezzo di una strada pubblica, uno dei molti particolari che rendono assurda l'idea che possa essere stata posta lì da uomini: inoltre, una parte è sporgente sul vuoto di un fosso, come poté constatare anche Giuseppe Sacconi, direttore dei lavori di restauro della Basilica Lauretana dal 1884 al 1905, il quale spiegò che «la Santa Casa sta parte appoggiata sopra l’estremità di un’antica strada e parte sospesa sopra il fosso attiguo». O ancora Federico Mannucci, in una relazione del 1922, stesa dopo le ricognizioni sul posto, scriveva che «i muri della S. Casa non hanno alcun fondamento né preparazione alcuna del terreno sottostante, che si presenta invece completamente disciolto e polveroso. Si può quindi certamente concludere che la Santa Casa non può essere fatta nel luogo dove si trova […]», aggiungendo il suo stupore per il fatto «straordinario» che, nonostante le suddette condizioni, «l’edificio della Santa Casa […] si conservi inalterato, senza il minimo cedimento e senza una benché minima lesione sui muri». Chi potrebbe fare tanto?

 

Le pietre della Santa Casa risultano saldate da una malta tipica della Palestina, formata con una tecnica sconosciuta all’Italia, e uniforme in tutti i punti: altro fatto che, come spiegava il docente di elettrochimica Emanuele Mor, esclude l’ipotesi di uno smontaggio e traslazione della casa per mano umana, perché «qualora fosse avvenuta una nuova rimessa in opera dei singoli blocchi di pietra, si sarebbe dovuta evidenziare per la differenza della composizione chimica della malta in questione».

PAPI E SANTI

A questa necessariamente sintetica esposizione degli studi che avvalorano la traslazione, anzi, le traslazioni miracolose, andrebbero aggiunti i molti pronunciamenti dei pontefici, che fin dai primi anni della Santa Casa in Italia concessero privilegi e indulgenze in onore della sua venuta, come per esempio nella bolla del 18 luglio 1310 di Clemente V, che nel ratificare un voto di fedeli tedeschi giunti in pellegrinaggio a Loreto metteva per iscritto il riferimento alla «miracolosa divina Vergine Lauretana». Senza numero anche i santi che si sono recati a Loreto per devozione, o hanno avuto il dono di essere testimoni della venuta della Santa Casa (san Nicola da Tolentino, che vide gli angeli trasportarla in terra marchigiana nel 1294, mentre era immerso nella preghiera) o ancora di essere edotti sulla sua traslazione miracolosa addirittura da Gesù (santa Caterina da Bologna, in una rivelazione del 25 marzo 1440).

Per quanto detto, san Pietro Canisio poteva scrivere nel XVI secolo che anche se «supponete per ipotesi impossibile che qui non si trovi nessun documento storico o tradizionale, che le testimonianze dei Sommi Pontefici e degli antenati non abbiano nessun valore; […] questi miracoli sono talmente frequenti che non si potrebbero contare, talmente visibili e abbaglianti che solo un’audacia senza misura potrebbe negarli».

 

(articolo tratto da "La Nuova Bussola Quotidiana")

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LA STELLA DEL MARE

Maria Valtorta, “I Quaderni del 1943”, 27 novembre 

 

Dice Gesù: 

 

«Il viaggio da Nazareth a Betlemme fu compiuto da Maria come se la stessa fosse circondata da una mistica clausura aperta solo verso il Cielo, che sempre più si avvicinava a Lei per esserle sopra con tutti i suoi splendori, le sue teorie angeliche, le sue armonie celesti, come velo di baldacchino regale trapunto di gioielli. 

 

Era già nell’estasi. E la folla che vedeva passare un uomo silenzioso conducente alla briglia un asinello cavalcato da una poco più che fanciulla tutta assorta in un suo pensiero interiore, si scostava perché pareva che una luce emanasse da quel gruppo e dietro ad esso rimanesse un profumo celeste. E non sapeva la folla spiegare il perché i più poveri fra essa paressero dei re davanti ai quali le folle si dividono in ossequio come onde di mare solcate da maestosa nave. 

 

Era la Stella del Mare che passava, era la nave portante la Pace che passava fra la guerra del mondo, era la Vincitrice che passava dove Satana aveva strisciato, per mondare la via al Verbo che veniva per ricongiungere Cielo a Terra. 

 

Pallida e mite andava incontro all’Amore, non più unicamente abbraccio di fuoco spirituale, ma tepore di carni vere che eran di donna ma che erano Dio, e quando Giuseppe rompeva quell’estasi, penetrandovi rispettoso come varcasse le soglie di Dio, per dare alla sua Donna conforto di cibo e riposo, non erano parole lunghe, ma solo uno sguardo, una parola: “Giuseppe!”, una stretta di mano, e in Giuseppe si rovesciava l’onda dell’estasi come da coppa colma fino al bordo. 

 

Le parole turbano l’atmosfera dove vive Dio. Né per i giusti occorrono parole per esser fatti persuasi della presenza di Dio e dei mirabili effetti di essa presenza in un cuore. 

 

O si crede o non si crede. Se avete Dio in voi credete poiché sentite Dio, oltre i veli della carne, vivente in una creatura. Se non avete Dio, nessuna parola può farvi persuasi della fusione di Dio ad un cuore umano. È la fede che dà capacità di credere, ed è il possesso di Dio che dà possibilità di vedere Dio vivente in un vostro simile. Non si può spiegare con metodo umano il mistero di Dio, i “perché” di Dio. Sono al disopra dei vostri metodi. Solo vivendo umilmente nel soprannaturale potete vedere, per lo spiraglio aperto dalla Bontà per voi, gli spirituali rapporti e gli estasianti contatti fra un’anima e Dio».

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Dai Quaderni di Maria Valtorta del 1943, 5 dicembre

Dice Gesù:

«Io non sono venuto (Mt 5,17) (Zc 7,4-14) a negare la Legge e i Profeti ma a confermarla e a perfezionarla modificando quelle inesattezze e soprastrutture che l’uomo vi aveva messo, parte per imperfezione propria e parte per umanità superiore all’anima.

L’uomo è portato a male intendere. Non è perfetto nei suoi sensi mistici e nei suoi sensi naturali. Solo vivendo in Me perfeziona i primi, essendo allora Io che opero in lui. L’uomo è anche portato a complicare le cose perché, nella sua tenace e indistruttibile superbia, è sempre attirato dalla seduzione di ritoccare anche l’opera di Dio.

Siete dèi (Sal 82,6) essendo figli di Dio. Ma Dio è sempre il Maggiore, il Perfetto, Colui che da Se stesso si genera. Voi siete i minori, coloro che divenite perfetti se vivete in Dio e che da Dio siete generati. Or dunque, perché volete sempre modificare con le vostre complicazioni ciò che Dio nella sua Semplicità, che è uno dei segni della sua natura, dà perfetto nella sua semplicità?

Quando sono divenuto Maestro ho trovato la Legge, in origine così chiara e lineare, divenuta un groviglio di imposizioni e una macia di formule che la rendevano impraticabile ai fedeli. Naturalmente pesi e formule erano per gli umili. I potenti, quelle formule e quei pesi li avevano creati, ma non li portavano.

Il sacerdozio, gli scribi e i farisei, mi fecero ribrezzo e sdegno. E se vidi fra loro qualche anima leale, che amai divinamente, vidi anche la turba degli altri, più numerosa di gregge di selvatici caproni che col loro puzzo ammorbavano dei loro mercati, delle loro falsità, empietà, durezze, la Casa del Signore, e rendevano il Signore qualcosa di terribile per i poveri della Terra.

Per Me digiunavano e sacrificavano quei sepolcri di fetore? No. Per averne utile umano e lode. Comodo era essere i Dottori della Legge e comodo essere del popolo eletto in Israele. Ma non vi era verità di desiderio e di offerta per attirare il Messia e le sue benedizioni.

E il Messia andò altrove, nella regione sprezzata, ma dove una Tutta Santa e un Giusto meritavano di accogliere e tutelare il Germe di Dio.

E ora, o figli, digiunate e pregate per interesse di Dio? No. Le vostre naturali privazioni, che potrebbero tenere posto di digiuno, non le sopportate con rassegnazione, ma ne fate fonte di odio e imprecazione continua e stolta e sacrilega. Le vostre preghiere sono sozze e sciancate dai vostri interni sentimenti e sono guardate da Dio come cose immonde messe sulla pietra dell’altare. Dio le incenerisce sperdendone il fumo contro terra.

Una volta di più Io vengo a ripetere la forma che dovete usare per presentare a Dio sacrifici e preghiere, il cui profumo puro salga dall’altare al trono di Dio come olocausto di vittima perfetta.

“Giudicate secondo verità, siate misericordiosi e compassionevoli verso i fratelli, quali che siano, non opprimete vedove e orfani, poveri forestieri, umili e deboli della Terra, non abbiate in cuore pensieri di astio, vendetta e male opere verso i vostri simili. Amate, insomma, perché l’amore è il compendio della Legge e chi ama tutto fa, e l’amore è l’incenso che rende profumate le ostie di propiziazione e l’acqua lustrale che deterge le pietre del vostro altare”.

Non indurite cuore e udito più di quanto già non l’abbiate. Non chiudete il cuore e l’udito alla Voce di Dio che parla attraverso i suoi “portavoce”, come un tempo l’indurirono gli antichi alla Voce di Dio parlante attraverso i Profeti.

Se non ascoltate Me, per giustizia Io non ascolterò voi, e cesserete di avermi per Dio, per Padre e Salvatore. Conoscerete allora l’ira del Signore piena e inesorabile e, avendo ricusato il Pane della Parola di Dio, morderete la polvere e come belve senza cibo vi sbranerete l’un l’altro morendo nell’orrore per conoscere un orrore ancor più tremendo ed eterno.»

Zc 8, 7.12.13.16.22

Dice Gesù:

«Salvatore delle genti, non posso non essere Salvatore del popolo mio. Mie per legge antica, mio per legge nuova.

Sono, umanamente, uscito da quella razza e se essa mi ha deriso, misconosciuto, tradito, ucciso, se essa ha fatto ciò avendo l’anima appesantita e avviluppata dal magma della colpa che il mio Sangue non lava, essendo questa razza ramo che non vuole innestarsi al ceppo della vite divina, non è meno vero che sono morto anche per essa, che su essa ho diritti di Re e amore di Creatore.

Con durezza e ferocia i padri dei padri di questi d’ora hanno respinto il dono dell’Eterno e chiesto il mio Sangue (Mt 27,25) a sfamare il loro odio verso la Verità. Con pazienza, con intelligenza, con forza e con bontà li attirerò a Me.

Le opere buone o inique dell’uomo servono sempre a un fine soprannaturale, perché la malvagità umana viene raccolta da Dio e al contatto delle sue mani si muta in strumento di bene. Nulla lascia intentato Dio nel suo lungimirante operare per raggiungere lo scopo che è quello di riunire in un unico nucleo gli umani per l’ultimo giorno, come da un unico nucleo si diramarono per la Terra dividendosi come rivoli che traboccano dalla coppa di una sorgente.

L’opera è già iniziata ed i persecutori che ledono e offendono ciò che è umano non sanno di stare creando con la loro iniquità il gran giorno del Signore, in cui come pecore disperse radunerò il mio immenso gregge ai piedi della Croce e ribattezzerò col nome di “agnelli” gli inselvatichiti figli del gregge che già fu mio, espellendo coloro che sotto il segno mio sono gli aspidi e i lupi della società umana.

Quando saprete riconoscermi e piangere col cuore contrito, Io muterò la secolare condanna di voi, deicidi, in perdono e benedizione, poiché non posso dimenticare il bene compiuto dai vostri Padri antichi, i quali dal Regno pregano per voi erranti. Spogliatevi dunque anche voi, che per primi avete avuto in dono la Legge, di ciò che è ingrato a Dio.

Gli stessi comandi che faccio ai miei nati dal mistico travaglio della Croce, li dico anche a voi che della croce vi siete fatti un sacrilego patibolo e una fonte di condanna.

Dite la verità e servite la Verità. Venite ad Essa. Battetevi il petto per coloro che l’hanno derisa ed hanno sperato di ucciderla. Hanno ucciso unicamente se stessi perché la Verità è immortale nella sua natura divina. Non ammantatevi delle insegne di essa per scopo umano. Ma una volta accostatala, amatela come sposa or ora conosciuta. Essa è quella che vi deve generare la Vita eterna. Ma non si può generare se di due non si fa una sola cosa perseguendo non piacere di sensi, ma santità di scopo. Siate onesti e sinceri con tutti e specie con Iddio, il cui occhio trivella i cuori e li passa parte a parte e li vede come e meglio di quanto lo scienziato e il batteriologo vedano nei vostri corpi le malattie che vi consumano e i germi che vi rodono.

Applicate l’amore alla verità nei rapporti con Dio e con l’uomo. Non tradite. Ha tradito or sono venti secoli uno della vostra razza, istigato e seguito da subdoli e malvagi. Levate quell’onta, che vi schiaccia da secoli, col vostro agire giusto e leale.

Per essere amati occorre farsi amare. Lo avete dimenticato molte, troppe volte. Amate la pace. È il segno del Cristo, che i vostri padri hanno ucciso attirando su voi la guerra che non ha termine e con pause di tregua esplode e risorge come morbo insanabile nel corpo della Terra e non vi dà sicurezza e riposo. Ora dovete imparare ad amarla questa pace per potere essere del Cristo e finire così l’eterno esodo della vostra razza.

Ogni zolla del mondo freme sotto il vostro piede e vi scaccia. Anche le vostre zolle antiche. Ma se Io, Signore del mondo, stenderò la mia Mano ed aprirò la mia Bocca a dire: “Basta! Costoro sono nuovamente miei”, la Terra più non potrà perseguitarvi. Le soprannaturali tende del Cielo saranno sopra di voi a protezione.

Ricordate quando per voi ho perseguitato i potenti, ho aperto il mare, ho fatto scaturire fonti nell’aridità dei deserti e piovere cibo dai cieli, quando ho messo i miei angeli ad aprirvi un varco fra i nemici per addurvi nella Terra che avevo promessa ai primi santi della Terra. Sono sempre quel Dio potente e pietoso (Es 14,21-31; 16;17,1-7; 23,20-23; 32,33-34; 33,1-2). Lo sono due volte di più ora che non sono solo il Padre Creatore ma il Figlio Salvatore, ora che la Terza Persona ha generato il miracolo della Incarnazione di un Dio per farne la Vittima espiatoria di tutta l’umanità.

Io vi attendo per poter dire: “Pace” alla Terra, e dire al Cielo: “Apriti ad accogliere i viventi. Il tempo è finito!”. Venite. Non ho cuore diverso, ora che sono in Cielo, di quello che avevo sul Golgota quando pregavo per i padri vostri e perdonavo a Disma (11 agosto e 31 ottobre).»

Dice Gesù a me:

«Ho dettato questo brano oggi che puoi scriverlo, invece di domani che non potresti farlo. Metti la data di domani. La collana dei dettati deve essere regolare come moto di pendolo. Un giorno si capirà meglio il perché dico di fare così. Ora riposa sul mio Cuore.»

5 dicembre ore 8 ant.ne

Più tardi dice Gesù:

«Abbi pazienza, anima mia. Non posso stare senza parlarti, perché parlare a chi mi ama costituisce la mia delizia, il mio desiderio, il bisogno del mio Cuore amante di voi.

Hai mai visto come fanno due sposi che realmente si amano? La sposa, mentre è in casa, guarda ogni momento l’orologio, corre alla finestra, per vedere se il tempo passa, per vedere se lo sposo torna dal suo ufficio. Lo sposo, non appena può, scappa a dire una parola d’amore alla sua sposa. L’ha appena lasciata e si sovviene che poteva dirle anche questo per farla felice, e se appena può corre a dirglielo. È l’amore che li sprona.

Anche io, non appena taccio, sento che ho altro da dirti. Vorrei parlarti notte e giorno, averti tutta per Me, vorrei che tu potessi dedicarti tutta a Me. Se sapessi come ti amo!

Ora senti. Anni or sono, leggendo gli scritti del mio servo Contardo Ferrini, ti chiedesti più volte perché nella mistica eri una analfabeta in che consisteva “la conversazione nei Cieli”.

Ecco: quando tu mi ascolti ed Io ti parlo, quando in luogo di murmure superficiale di preghiere Io ti rapisco nel fuoco delle rivelazioni e ti occupo di Me, quando tu mi dici: “Vieni, Gesù, a parlare alla tua serva”, quando gusti il sapore della mia Parola che deposito in te come in un forziere, in un’idria, perché tu la dia ai poveri e agli assetati della Terra, allora noi facciamo una conversazione nei Cieli.

Eri troppo legata alle formule, come quasi tutti i cattolici ferventi. Io ti ho slegata. Ho lanciato l’anima tua, fuor dal pelago delle circoscrizioni formulari, delle piccinerie delle pratiche, sugli spazi sconfinati del mistico mare dell’orazione. Ti ho avvolta, aspirata, rapita, indiata nel fuoco dell’orazione.

Eri un piccolo passero impastoiato. Ora sei un’aquila che spazia e domina e sale verso il Sole e lo fissa e ne è fortificata. Sali sempre più, come l’aquila a voli concentrici. In alto sono Io, Aquila eterna, che ti attendo per portarti, oltre i sensi, nel conoscimento d’amore.

Ubbidisci sempre al richiamo, con prontezza e fiducia. Abbandònati al vento dell’amore. Esso ti sostiene, non ti ostacola. Esso spira per portarti a Me da cui viene. Perditi, goccia d’acqua nel mio infinito oceano, perditi, favilla di luce nel mio sconfinato fulgore. Entra a far parte del tuo Dio e Signore, del tuo Sposo. Ti apro tutte le porte dei miei tesori perché tu li possegga.

Ti amo!»

5 dicembre ore 10 ant.ne

Dice Maria


«Parlando della Presentazione al Tempio, Luca (2,33) dice che “il padre e la madre restavano meravigliati delle cose che si dicevano del Bambino”.

Meraviglia diversa dei due coniugi. Io, alla quale lo Spirito Sposo aveva rivelato ogni futuro, meravigliavo soprannaturalmente adorando la Volontà del Signore che si vestiva di carne per volere redimere l’uomo e che si rivelava ai viventi dello spirito. Meravigliavo una volta di più che ad esser la Madre della Volontà incarnata Iddio avesse scelto me, sua umile ancella. Giuseppe meravigliava anche umanamente poiché egli altro non sapeva fuor di quello che le Scritture gli avevano detto e l’angelo rivelato (Mt 1,20-24). Io tacevo.

I segreti dell’Altissimo erano come deposti sull’arca chiusa nel Santo dei Santi e solo io, Sacerdotessa suprema, li conoscevo, e la Gloria di Dio li velava agli occhi degli uomini col fulgore suo insostenibile. Erano abissi di fulgore e solo l’occhio verginale baciato dallo Spirito di Dio poteva affissarli. Ecco perché eravamo, tanto io che Giuseppe, meravigliati. Diversamente, ma ugualmente (in ugual misura) meravigliati.

Ugualmente va interpretato così l’altro passo di Luca (Lc 2,50) : “Ma essi non compresero ciò che aveva lor detto”.

Io compresi. Sapevo prima ancora e, se il Padre permise la mia ambascia di madre, non mi velò il significato eccelso delle parole del mio Figlio. Ma tacqui per non mortificare Giuseppe a cui non era concessa la pienezza della grazia.

Ero la Madre di Dio, ma ciò non mi esimeva da essere moglie rispettosa verso il Buono che mi era amoroso compagno e vigile fratello. La nostra Famiglia non conobbe mende, in nessun motivo e campo. Ci amammo santamente preoccupati di una cosa sola: del Figlio.

Oh! Gesù restituì nell’ora della morte ogni conforto, come solo Egli lo poteva fare, al mio Giuseppe, in ricordo di tutto quanto aveva ricevuto da quel Giusto. Gesù è il modello dei figli, come Giuseppe lo è dei mariti. Molto dolore ho avuto dal mondo e per il mondo. Ma il mio santo Figlio e il mio giusto Consorte non fecero venire altre lacrime al mio occhio che non fossero quelle del loro dolore.

Quando Giuseppe non fu più al mio fianco, ed io fui la prima autorità terrena del Figlio mio, non mostrai più di non capire tacendo. Nessuno più si sarebbe mortificato di vedersi superato in comprensione, e a Cana (Gv 2,1-11) parlai. “Fate quello che Egli vi dirà” dissi, poiché sapevo che Gesù nulla mi nega e che dietro le sue parole sostenute già era il primo miracolo suscitato da me e offerto a me dal Figlio mio, come una candida rosa nata per prima su un rosaio a primavera.

Bisogna saper leggere il Vangelo, Maria. Gli uomini non lo sanno leggere. Io ti guiderò la mano e te lo spiegherò là dove il mio Gesù non te lo spiega. Sono la Mamma di tutti e due. Voglio che la mia bambina conosca il suo dolcissimo Gesù, Gesù nostro, come pochi lo conoscono.

Più lo conoscerai, più lo amerai. Più lo amerai a più mi farai felice.»

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STORIA DI UN’ANIMA

Santa Teresina di Lisieux (o del Bambino Gesù)

 

Manoscritto indirizzato alla Madre Maria di Gonzaga (61° parte)

 

Non è sempre con questi slanci di gioia che ho praticato la carità, ma all’inizio della mia vita religiosa, Gesù volle farmi sentire quanto è dolce vederlo nell’anima delle sue spose; così quando io guidavo Suor S. Pietro, lo facevo con tanto amore che mi sarebbe stato impossibile farlo meglio se avessi dovuto guidare lo stesso Gesù. La pratica della carità non mi è stata sempre così dolce, gliel’ho appena detto, Madre mia cara; per provarglielo, le racconterò alcune piccole battaglie che certamente la faranno sorridere. Per tanto tempo, all’orazione della sera, fui messa davanti ad una sorella che aveva una buffa mania, e penso... molte illuminazioni, perché si serviva raramente di un libro. Ecco come me ne accorgevo: Appena questa sorella era arrivata, si metteva a fare il suo strano rumorino che rassomigliava a quello che si farebbe strofinando due conchiglie una contro l’altra. Non c’ero che io che me ne accorgevo, perché ho l’orecchio estremamente fine (un po’ troppo talora). Dirle, Madre mia, quanto questo rumore mi stancava, è impossibile: avevo grande voglia di girare la testa e di guardare la colpevole che, sicuramente, non si accorgeva del suo tic, era l’unico mezzo di segnalarglielo; ma in fondo al cuore sentivo che era meglio soffrire quella cosa per l’amore del buon Dio e per non dare pena alla sorella. Restavo dunque tranquilla, cercavo di unirmi al buon Dio, di dimenticare il rumorino... tutto era inutile, sentivo il sudore che m’inondava ed ero costretta a fare semplicemente un’orazione di sofferenza, ma pur soffrendo, cercavo il modo di farlo non con irritazione, ma con gioia e pace, almeno nell’intimo dell’anima. Allora cercavo di amare il rumorino così sgradevole; invece di cercare di non sentirlo (cosa impossibile) mettevo la mia attenzione a sentirlo bene, come se fosse stato un affascinante concerto e tutta la mia orazione (che non era quella di quiete) passava ad offrire questo concerto a Gesù.

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Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore (Luca 21,34-36)

(…) Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell'uomo. 

Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno (Genesi 6-9) sino al giorno in cui Noè entrò nell' arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. 

Anche così sarà per la venuta del Figlio dell'uomo. 

Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo

Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. 

Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. 

Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. 

Perché, ricordate, tutti avete a morire. 

Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell'uomo. (…)

 

 Evangelo 596.48

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𝗖𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲 𝗮𝘃𝘃𝗶𝗰𝗶𝗻𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗟𝘂𝗶

Alcune persone che stettero accanto a Gesù quando Egli passò facendo il bene sulla nostra terra, ci possono insegnare come trattare il Maestro. «Entrato [Gesù] in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente» (Mt 8, 5-6). La liturgia di oggi offre alla nostra considerazione questo episodio della vita del Signore. Quell’uomo buono, un gentile, soffre per la malattia di un servo del quale ha una grande stima. Vista l’amara impotenza che patisce per non essere in grado di aiutarlo, reagisce in maniera saggia e umile, piena di fede: va in cerca di Gesù e gli spiega con sincerità la causa della sua tristezza. Non è necessario che chieda nulla, gli basta esporre la sua situazione, aprirgli l’anima.

Anche noi abbiamo le nostre difficoltà e le nostre tristezze; abbiamo anche degli amici che vogliamo che siano curati; e noi stessi vogliamo sentire vicina la mano del Signore. Per questo reagiamo con fiducia, come ha fatto il centurione, e ci rivolgiamo a Gesù. È bello ricordare quanto bisogno di lui abbiamo e come egli desideri ardentemente aiutarci. È molto consolante sapere che in qualsiasi momento possiamo rivolgerci a Lui con assoluta semplicità: Gesù, ho una serie di cose che non riesco a risolvere e che mi tolgono la pace. Ho fede, ma riconosco che certe volte dovrei confidare di più in te; debbo ancora imparare a mettere la mia vita nelle tue mani in modo più completo.

Oggi vogliamo imitare il centurione del vangelo e aprire al Signore il nostro cuore. Rimanendo in silenzio, in dialogo con Gesù, gli presentiamo la nostra vita e le nostre necessità. E stiamo tranquilli, sapendo che ora se ne occupa anche lui.

 

𝗙𝗼𝗻𝘁𝗲: 𝗢𝗽𝘂𝘀 𝗗𝗲𝗶 - 𝗠𝗲𝗱𝗶𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗹’𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 (𝘀𝘁𝗿𝗮𝗹𝗰𝗶)

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ESSERE SEMPRE PRONTI PER IL REGNO DI DIO

L'esorcista americano Padre Dan Reehil ha condiviso una storia su San Domenico Savio, offrendo una potente riflessione sulla prontezza spirituale. Un giorno, mentre San Giovanni Bosco stava guidando alcuni ragazzi sulla via della fede, li raggiunse mentre giocavano a calcio e chiese: "Se Gesù vi apparisse proprio ora e vi dicesse che vi rimane un'ora di vita, cosa fareste?"

I ragazzi reagirono con panico, dicendo che sarebbero corsi a confessarsi, avrebbero chiesto una Messa o cercato perdono da chi avevano offeso. Ma Domenico Savio, calmo e composto, diede una risposta diversa. Quando San Giovanni Bosco gli chiese: "Domenico, tu cosa faresti?" lui rispose: "Continuerei a giocare a calcio."

Sorpreso, San Giovanni Bosco gli chiese: "Perché?" Domenico rispose: "Perché sono già stato a Messa, ho già pregato il Rosario e non ho nessuno da perdonare o da cui chiedere perdono. Sono pronto."

Questa risposta, semplice ma profonda, rivela come Domenico Savio vivesse in uno stato di grazia costante, sempre pronto a incontrare Dio. È un promemoria che, mentre spesso presumiamo di avere tempo per rimettere le cose a posto—confessarci, pregare, perdonare—non possiamo sapere quando arriverà il nostro momento. Domenico ci insegna la pace che deriva dal vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, con il cuore sintonizzato su Dio e senza paura dell’imprevisto.

Questa storia ci sfida a riflettere sul nostro modo di vivere. Siamo pronti come lo era Domenico? O ci illudiamo di avere sempre tempo per confessarci, riconciliarci con gli altri, o mettere ordine nella nostra anima? La verità è che nessuno sa quando verrà quel giorno in cui vedremo Gesù faccia a faccia.

Vivere in questa grazia significa scegliere ogni giorno di camminare con il Signore, portare nel cuore la pace di chi sa di aver fatto il possibile per amare Dio e il prossimo. Non è una vita perfetta o senza errori, ma una vita orientata verso l’eternità, dove ogni azione è un passo verso il cielo.

San Domenico Savio ci insegna che vivere nella grazia non è pesante, ma porta una libertà e una serenità incomparabili. È la gioia di sapere che, quando il momento arriverà, saremo pronti ad abbracciare il Signore con un cuore puro. Questo è il dono più grande: essere sempre pronti per il giorno in cui vedremo Gesù.

 

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